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Il gioco d’azzardo è una piaga, e’ un errore volontario che chi gioca compie ripetutamente, che ti porta alla rovina, e’ come appropriarsi illecitamente di soldi altrui.

M. romano, ha 68 anni, è andato in pensione nel 2018, lavorava alle Poste, ci ha lavorato per 35 anni. Con la morte del padre ha cominciato a giocare quando ancora c’erano i videopoker ed erano illegali, c’era la denuncia penale.

Racconta la sua storia quando di giocare non ci pensa più, “anche se – ammette – bisogna stare sempre in allerta perché la ricaduta è dietro l’angolo”.

Ha smesso di giocare cinque anni fa grazie all’aiuto della Cooperativa Magliana 80, che ha promosso un intervento specifico nei centri per anziani nell’ambito della campagna di sensibilizzazione contro i rischi del gioco d’azzardo. “Ho iniziato a giocare nel ’83 e poi, a fasi alterne, ho ricominciato e smesso nuovamente; sono stato costretto a vendere la casa prima che fosse pignorata perché avevo debiti con le banche che non riuscivo più a coprire. Avevo un mutuo su quella casa che ho riconvertito per ottenere contanti, ma la nuova rata era troppo alta e sono finito in bancarotta.” Giocava due volte al giorno, la mattina e la sera, per 2-3 ore a volta e ogni volta scommetteva dai 200 ai 300 euro con una pensione di 1500 euro. “Non mi rendevo conto di quello che stavo facendo; volevo vincere e passare il tempo con gli amici al bar. La sfortuna dei giocatori è vincere perché allora non ti fermi, scommetti di nuovo e perdi.”

E poi c’è spesso la solitudine, la noia, una condizione molto comune tra gli anziani che magari non hanno una famiglia. M. ha una sorella che si prende cura di lui; vivono nello stesso edificio. Lei gestisce le sue finanze, dandogli 20 euro al giorno per le necessità e, all’inizio, M. doveva mostrarle gli scontrini di ciò che acquistava e l’estratto conto. Ora questo controllo così rigido si è leggermente allentato, ma è ancora a fasi. “Non è difficile alla sua età?” gli chiediamo. “All’inizio sì, ora no più; è giusto che sia così,” risponde.

Ora prosegue la cura con gli psicoterapeuti della Cooperativa, lavorano in gruppi di sei, sette persone, svolge diverse attività che contribuiscono a risolvere la sua dipendenza. “Quando esco da lì – dice M. – io sto bene. Da solo non ce l’avrei fatta, il dialogo è importante. Non bisogna nascondersi, bisogna parlarne, trovare il coraggio di farlo a casa con i propri parenti”.

M. 68 anni

“è una piaga, ti rovina, ti leva tutto”